"You may call me a dreamer".
Una pessima esperienza per l’utente è pessima pubblicità.
Le app per bloccare la pubblicità sono diventate così popolari che Google sta lavorando all’integrazione della funzione di ad-blocker all’interno del suo browser. Eppure le entrate della Google da pubblicità di tipo “display” nel 2017 ammonteranno a $5.2 miliardi. Non mi sembra che siano contrari alla pubblicità. Quello che Google non vuole è la pubblicità “cattiva”, troppo invasiva e perfino pericolosa (pubblicità come veicolo per malware o altre nefandezze). Ma ricerche di mercato indicano che gli utenti trovano ogni forma di pubblicità “cattiva” e la loro reazione è tentare di bloccarla tutta. Non mi interessa se un sito di gif animate di gattini carini esplode di banner animati e video che iniziano autonomamente con il volume al massimo. Non m’importa se lo stesso sito chiude perché i guadagni della pubblicità svaniscono a causa dell'ad-blocking. Quello che mi interessa è il futuro del giornalismo serio.
L’informazione tempestiva, attendibile, utile e completa ha un costo. Storicamente il costo è stato sovvenzionato dalla pubblicità (per molti anni le vendite dei giornali hanno rappresentato solo il 20% delle entrate). Online esistono tentativi di far pagare l’accesso alle notizie ma non sono la norma. La pubblicità “nativa” è stata una risposta efficace all'ad-blocking ma solleva questioni etiche e rischia di distruggere la credibilità e autorità dell’editore. Qual’è la soluzione dunque? Il controllo.
Chi fornisce del contenuto ad un utente dovrebbe avere il controllo e la responsabilità dell’esperienza complessiva. Dovrebbe controllare i formati della pubblicità, e vagliare gli inserzionisti. Dovrebbe gestire le aspettative degli utenti, spiegando la politica adottata verso la pubblicità e fornendo semplici strumenti di valutazione, da parte degli utenti, che permettano di fornire un’esperienza che bilancia i bisogni dei fruitori e degli inserzionisti. Gli editori che avranno il controllo della pubblicità e dunque dell’esperienza dei loro utenti si differenzieranno e potranno ottenere più seguito. Recupereranno redditività trattando direttamente con gli inserzionisti, senza intermediari, offrendo un contesto sicuro e prestigioso per brand e potranno creare in collaborazione con gli inserzionisti soluzioni su misura. In più un sistema come questo renderebbe il problema dell'ad-fraud obsoleto a meno che non sia l’editore stesso a farlo.
Google vuole migliorare l’esperienza dell’utente per proteggere la pubblicità che loro stessi vendono, eliminando la pubblicità più invasiva e fastidiosa (che potenzialmente è qualsiasi inserzione che loro non hanno venduto). E’ una mossa furba ed egoista, una mossa che filosoficamente dovrebbe essere copiata dagli editori, rafforzando le relazioni dirette con gli inserzionisti e sfruttando gli strumenti digitali per fornire una sponsorizzazione del contenuto su misura e a misura di utente. C’è urgente bisogno di una rinascita delle pubblicazioni di qualità, online.
"You may call me a dreamer. But I’m not the only one."
Immagine, John Lennon