Futuro programmatico.
Il New York Times indica un futuro migliore per utenti, editori e inserzionisti.
Il soggetto A entra in una galleria d'arte che ospita la lettura di un nuovo libro di un autore famoso. Arrivato presto, egli guarda la mostra d'arte e poi si dirige verso la stanza in cui si svolgerà l’evento, attraversando un breve corridoio fiancheggiato da vetrine. Mentre passa, il soggetto A guarda le vetrine che presentano in modo lusinghiero i prodotti degli sponsor della serata.
Il soggetto B entra in un'altra galleria d'arte per un evento. La sala in cui si svolge l'evento è affollata di venditori invadenti. La sicurezza della galleria ignora inspiegabilmente i venditori e molti dei presenti hanno assunto guardie del corpo per tenere i venditori lontano dai propri.
Il soggetto C entra in una terza galleria d'arte molto simile a quella del soggetto B. Insoddisfatto dell'esperienza, il soggetto C se ne va quasi subito e si reca in un ristorante dove scopre che i venditori della galleria d'arte l’hanno seguito e per i giorni a venire compariranno in qualsiasi luogo egli visita.
Il soggetto D, va nelle stesse gallerie d'arte di B e C molte, molte volte, ogni volta sotto mentite spoglie, perché il suo compito è di “esserci”. Il soggetto D non ha denaro, né necessità o desiderio per nessuna delle cose che i venditori offrono.
Queste storie servono a illustrare il modo in cui funziona la pubblicità online oggi. La maggior parte della tua esperienza online è probabilmente simile a quella del soggetto B: visiti un sito per del contenuto che ti interessa e vieni assalito da pubblicità irrilevante e irritante. A meno che, come il soggetto C, usi un ad-blocker o, come il soggetto D, non sei un essere umano. Esperienze come quella del Soggetto A sono rare ma potrebbero diventare molto più comuni. Ecco perché.Quasi tre anni fa, Jon Moeller, CFO di Procter & Gamble, ha dichiarato in un report finanziario trimestrale della società che P&G aveva tagliato $ 140 milioni della propria spesa pubblicitaria digitale e non aveva visto "nessun impatto negativo sul tasso di crescita", perché i tagli riguardavano pubblicità viste dai bot oppure il posizionamento di annunci che non “giovavano ai nostri marchi" in termini di contesto, qualità o visibilità.
Evidentemente, molti annunci vengono mostrati ad utenti che non sono persone reali e quando vengono mostrati a persone reali spesso non vengono visti, per vari motivi. A volte è perfino meglio non essere visti. Poiché la maggior parte degli inserzionisti in realtà non sa dove vengono pubblicati tutti i loro annunci, a volte questi vengono pubblicati in luoghi inappropriati. Non essere visti è un male, essere visti nel posto sbagliato è peggio. Gli inserzionisti non sono contenti della qualità della pubblicità programmatica.
Per editori prestigiosi con contenuti di valore, la situazione non è migliore. Nel sistema attuale, per ottenere entrate dagli annunci devono rinunciare al controllo di quali annunci vengono visualizzati sulla loro proprietà. Devono anche consentire la raccolta di dati da terze parti (che, tra le altre cose, favoriscono il re-targeting). È un po' come consentire a estranei di frequentare e persino decorare il tuo posto di lavoro. Per aggiungere la beffa al danno, gran parte del flusso di entrate pubblicitarie viene sottratto prima che arrivi al destinatario.
Secondo uno studio recentemente pubblicato ("ISBA Programmatic Supply Chain Transparency Study" di PwC), in media solo il 51% della spesa pubblicitaria online raggiunge un editore, il 16% va a piattaforme pubblicitarie, l'11% va ad altre società tecnologiche, il 7% va alle agenzie pubblicitarie e il restante 15% non è rintracciabile. Questo studio, il primo in assoluto a esaminare le catene di approvvigionamento pubblicitarie programmatiche end-to-end, ha raccolto dati per due anni da 15 inserzionisti (che rappresentano l'1% della spesa media programmatica nel Regno Unito), 8 agenzie, 5 DSP, 6 SSP e 12 editori.
La complessità del sistema è assurda e opaca. Lo studio ha rilevato che i 15 inserzionisti erano serviti da oltre mille diverse catene di approvvigionamento e che 290 di queste distinte catene di approvvigionamento collegavano i 15 inserzionisti con i 12 editori. Ci sono molti intermediari e il loro valore non giustifica una riduzione del 49% delle entrate totali. Gli editori non sono contenti degli aspetti economici della pubblicità programmatica.
In tutto il mondo, il 47% degli utenti di Internet impiega un ad-blocker (fonte: Global Web Index). Le tre principali motivazioni per l'installazione di un ad-blocker sono: "Troppi annunci" 48%, "Annunci fastidiosi o irrilevanti" 47% e "Annunci intrusivi" 44%. Gli utenti non sono contenti dell'estetica della pubblicità programmatica.
Gli inserzionisti si preoccupano della frode pubblicitaria, della brand security e dell'efficacia del loro investimento media. Gli editori si preoccupano della riduzione delle entrate e del controllo della loro piattaforma. Gli utenti installano gli ad-blocker e si lamentano dell'orribile esperienza fornita da molte destinazioni online. Le uniche persone a cui piace il modo in cui funziona la pubblicità programmatica oggi sono lo sciame oscuro di intermediari.
Fortunatamente, le cose stanno cambiando. I browser stanno eliminando gradualmente il supporto per i cookie di terze parti. Molti editori di qualità hanno stabilito paywalls, riducendo la loro dipendenza dalle entrate pubblicitarie. Ora, il New York Times ha annunciato che sta eliminando gradualmente tutti i dati pubblicitari di terzi. Da luglio offrirà agli inserzionisti la possibilità di indirizzare gli annunci sulle loro proprietà online con 45 segmenti di pubblico, basati esclusivamente su dati proprietari. I segmenti copriranno 6 categorie: età, reddito, affari, demografia e interessi. Il piano è di quasi raddoppiare i segmenti di pubblico entro la fine dell'anno. Il New York Times non è solo, anche altri editori (Vox Media, The Washington Post) stanno costruendo soluzioni di targeting, basate su dati proprietari, per i loro siti.
Il programmatico non se ne andrà, ma, può e deve cambiare. Spero che possa evolversi e infine fornire: agli inserzionisti un ROI migliore sulla spesa dei media; agli editori un maggiore controllo sulle loro piattaforme e sulle entrate che generano; agli utenti una miglior esperienza online. Se ciò avverrà, sarà più comune incontrare situazioni come quella del Soggetto A, in cui un'esperienza piacevole e ben curata è in parte sottoscritta da brand che in cambio ottengono visibilità e riconoscimento.